martedì 19 aprile 2011

diario senza inizio. nota 6. jardin délaissé, sotto casa

Qualche giorno fa entrando in un giardino condominiale ben curato, vasi dappertutto, piccoli alberi da frutto, filari di gelsomino a tracciare i confini, ho visto con la coda dell'occhio che una parte centrale del prato, quella comune immagino, era rimasta incolta. Ho pensato che forse, su quel pezzetto di terra, i condomini non avevano trovato un accordo. Ho avuto la fantasia di riunioni troppo piene di altre questioni e quel tema del giardino, messo in coda,  rimasto da trattare di riunione in riunione. Poi, continuando con le fantasie, ho immaginato che forse era nato un conflitto vero, pensieri diversi sul da fare: un parcheggio per le bici, il luogo dove stendere i panni,  una fila di vasi di cotto; o forse, fra condomini esperti del  verde,  si era accesa una lite  sul tipo di piante in cui accogliere amici e vicini. Così in quell'angolo di condominio, una natura non decisa ha preso il sopravvento, e le due piante di rose ai bordi, sembravano sembrano voler assomigliare sempre di più a quel tappeto di erbe incolte. "Incolto" dice Gilles Clement è un termine carico di vergogna, segnato dalla perdita di potere dell'uomo sul proprio territorio.  Clement preferisce chiamare "residuo" lo spazio che si sottrae al dominio diretto dell'uomo e che sa riprendere, attraverso questa indifferenza, una propria vitalità. Giardini residui, "délaissés", ci sono dappertutto: lungo i marciapiedi,  i binari, ai margini delle strade, segnano un altro paesaggio all'interno di quello che siamo abituati a guardare, testimoniano un conflitto, qualcosa di non risolto fra la natura e l'uomo.  "Signore" dei giardini residui sono le erbe vagabonde,  dal carattere forte e molto snob. Nascono, crescono e si propagano senza pregiudizi sul proprio habitat, decise a vivere sulla superficie che le ospita, sia  una pietraia di montagna o una discarica di rifiuti. Generose, preparano il terreno: lo scelgono, lo trasformano, lo  segnalano. Trovandole sappiamo quanto è lontana la mano dell'uomo dal pezzo di terra su cui stanno crescendo, anche quando si tratta di  un giardino sotto casa, di cui nessuno vuole occuparsi. Riconoscendole ci accorgiamo di quanto poco spazio è riservato loro, di quanto le nostre città siano piene di tutto, costruite e occupate fino all'inverosimile di quello che produciamo e che ci serve per alimentare il ciclo ossessivo del produrre e consumare. Le erbe vagabonde, impercettibili all'occhio non abituato, hanno il loro modo di mettersi in mostra: impressionanti fioriture, acrobazie su terreni impropri, steli verdissimi, proprietà aromatiche. Sono loro  che guidano nel Terzo paesaggio, direbbe Clement, luogo in attesa di destinazione,  e rifugio, residuale, della diversità. E' solo sul finire di questo post, guidata nei pensieri da queste piante in movimento, che mi viene da pensare che, magari, in quel condominio  abita una piccola cellula di guerriglieri del verde, decisi a dare ospitalità a quello che di solito viene escluso, tutt'altro che litigiosi sono ben compatti nel destinare un'area del loro giardino a un esperimento ecologico. Magari tutte le mattine osservano curiosi il loro giardino in divenire, si rallegrano per un fiore non piantato e si inorgogliscono per quella natura che prospera negli interstizi, poco lontana dai vasi di azalea.

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