3° tappa Libreria Mardi Gras, Bolzano

Talee a Mardi Gras istruzioni per l’uso


Per talee a Mardi Gras sono previste  5 persone.
Le prime 4 sparse nella libreria a leggere a bassa voce (quasi per sé) i testi precedenti, nella prima fase della performance che chiamerò preludio.
L’ altra, più Beatrice e il libraio a leggere i  nuovi testi scelti nella seconda fase che chiamerò concertato.
Il preludio ha durata dai 10 ai  15 minuti, diciamo durante tutto l’arrivo dei visitatori, il concertato in cui si alternano i singoli lettori in una lettura continua ad alta voce, mezz’ora.

Le persone interessate sono invitate alle 17,00 in libreria  per conoscerci e per una piccola prova di gruppo.Tutto è molto semplice e non prevede, se non per piacere loro, l’intervento speciale di attori, ma piuttosto lettori comuni.

Preludio
Le persone che chiamerò il coro dei  bisbigliatori hanno il compito di stare vicino alle talee esposte con i loro libri a sussurrare i testi ,  all’avvicinarsi voluto o casuale  di un avventore alzare il tono di voce nella lettura, fino a ritornare al bisbigliio alla fine del pezzo, ricominciandolo a sussurrare da capo. Al tempo stabilito, i lettori chiuderanno con rumore i libri e andranno silenziosamente nella saletta di lettura dove, una volta che saranno raggiunti dalle altre persone, inizierà la lettura.

Concertato
la lettura dei testi seguirà  questo ordine.

Incipit Beatrice, L’Olmo, Ryuichiro Utsumi con i  disegni di Jiro Tniguchi
Lettore uno, Il Sifone di Sartre M.Creed
Lettore due,  L’uomo che piantava gli alberi J.Giono
Finale Libraio Dario, L’Olmo
Le letture dovranno susseguirsi senza intervalli o pause come un unico pezzo.
I testi per i lettori ad alta voce saranno  forniti martedì 7dicembre.


I libri per i bisbigliatori saranno invece: I Nomi, Don De Lillo, I Miracoli  di Spinoza, Il codice di Perelà di Palazzeschi, Walden ovvero vita nei boschi, di Thoreau, Martin Creed Il sifone di Sarte, possono essere forniti da me. A richiesta dei lettori è possibile inviare la pagina da leggere  via mail.

Alla fine una piccolissima sbicchierata concluderà l’evento.

Letture

Incipit
Il giorno prima del loro trasloco i coniugi Harada si recarono  a controllare le condizioni del nuovo giardino
Ma guarda hanno portato via tutti gli alberi
Ma com’è possibile?
Avevano deciso di acquistare quella vecchia casa a un’ora di  treno dal  centro di Tokyo perché si erano innamorati dl giardino
Quando lo videro la prima volta, c’erano alberi di Prugno,Camelie , Magnolie e fiori di ogni tipo. Era davvero un bel giardino come  lo avevano sognato a lungo.
Che si fa?
Com’è squallido un giardino senza piante..Ci avevano detto che era un’occasione da non perdere.
Nonostante fosse stato costruito trent’anni prima, l’edificio era ben curato e dava l’impressione di essere molto spazioso, anche grazie alla suggestione creata dagli alberi nell’ampio giardino.
E’ inutile lamentarsi, Lo rifaremo noi.
Oh guarda vieni a vedere
Lì c’è un Olmo gigante.
Oh com’è grande!
Non hanno potuto portare via questo albero enorme…

Lettura1
La prima volta che mi innamorai avevo 23 anni: un amore che rischiò di uccidermi, come un vulcano che attira la gente verso le sue fertili pendici  e poi la ricopre di cenere, conservandola in una sorta di pietrificata animazione per migliaia di anni…con la differenza che io sopravvissi per raccontare la storia e che il mio interramento non durò un migliaio di anni, non proprio.
Mi ero appena diplomato alla scuola di giornalismo di Kyoto. Conoscevo un po’ di gente lì ma la prima amica che mi feci nella nuova città fu Aoko. Questa ragazza lavorava saltuariamente come entraineuse in un notissimo Jazz club del quartiere di Shinjuku. Io ci andavo a bermi un wisky che mi facevo durare tutta la sera, evitando di parlare con chicchessia e perdendomi nella musica.
Quando un giorno  la riconobbi mentre era intenta a far acquisti in un negozio di dischi la invitai a prendere un cafè: Con l’andar del tempo diventò un’abitudine e pian piano mi parlò di sé di come il suo ragazzo Toru si fosse ucciso l’anno precedente in macchina;di come suo padre fosse mort di recente dopo una lunga malattia; di come lei avesse studiato pianoforte, ma non potesse più sopportare di toccarne uno. Aveva appena trovato un nuovo appartamento era situato nella zona  degradata della città, ma il proprietario glielo aveva offerto ad un prezzo di affitto eccezionale, a patto che lei se lo ripulisse da sola. Il bilocale era stato abbandonato da così tanto tempo che non riuscivamo a dire a quando risalisse l’ultima tinteggiatura. Liberammo lo spazio dalle poche cose di Aoko e insieme spingemmo il letto al centro del locale. Aoko  con indosso una camicia celestina e jeans tagliati, usò del nastro adesivo per fissare dei fogli di plastica lungo i battiscopa al bordo del pavimento, mentre io coprivo con dei teli  di cotone pesante i mobili al centro della stanza. La prima cosa da fare era lavare le pareti,il soffitto e gli infissi di legno dalla sporcizia di anni. Riempii un secchio di  acqua calda e soda e, infilati i guanti di gomma rossi che mi erano rimasti dopo un lavoro temporaneo in un’industria farmaceutica, cominciammo a lavare la stanza da cima a fondo. “Adesso cominceremo a stuccare e scartavetrare”
“Sei sorprendente, Yuri, non ho la minima idea di cosa significhi quella roba. Io avrei cominciato subito a pitturare.”
“Beh avresti anche potuto, per lo più alla gente preme soltanto arrivare a quella che ritiene la parte migliore, ma su tutto quello sporco la pittura si sarebbe subito scrostata.
Il suono rasposo della cartavetrata sullo stucco colmò la stanza e una sottile polvere bianca si posò su tutto, cospargendo i capelli neri di Aoko di zucchero a velo, fermandosi sulle ciglia e sulle labbra: di lì a poco invecchiavano insieme in una stanza coperta di teli bianchi  e ciò mi ricordava un  personaggio di cui una volta avevo letto in Dickens…
Mi feci più vicino, la mia faccia era all’altezza del suo orecchio perfetto..Ora che nessuno grattava più si poteva sentire di nuovo Coltrane suonare How Deep is the Ocean. Sì, era profondo.
“Mi spiace Juri, non sono la persona giusta per te. Ti renderei infelice e non vorrei mai fare una cosa simile a te”
“Non mi ucciderò, se è questo che temi” Me ne pentii subito dopo averlo detto. Fuori era cominciato a piovere e pensai a Toru che schiacciava l’acceleratore e viaggiava per tutto il tempo contromano, pur rimanendo in folle.
“Devo uscire . Non hai detto che serviva altro smalto?”
Ero io ad aver bisogno di uscire e di starmene sotto la pioggia, ma Aoko mi aveva battuto sul tempo.
Non mi ci volle molto per dare una seconda mano al soffitto  e poi aprii la latta dell’idropittura per le pareti: azzurro intenso, era stata Aoko a scegliere il colore. Mescolai il liquido con un bastone e poi con la pennellessa, cominciai a dipingere le fasce e gli angoli della stanza. Concentrarmi sulle pennellate mi schiarì le idee. Le fasce azzurre erano così belle che avrei potuto lasciare la stanza così com’era. Aoko ci stava mettendo molto, ma immaginavo avesse bisogno d’aria. Potevo anche finire di dipingere le pareti prima che tornasse. Poche ore dopo, la prima mano era data. Una meraviglia.
…Passarono alcune settimane prima che avessi notizie di Aoko. Continuavo a stare nel suo appartamento, anche dopo aver finito di ridipingere, ma avevo lasciato i teli sopra ogni mobile, come se lei fosse appena uscita dalla stanza. Avevo portato due o tre cose  dal posto in cui abitavo, ma non mi piaceva stare lontano dal bilocale a lungo, casomai avesse telefonato o si fosse fatta viva. Una notte fui svegliato dal suono del telefono. Dormivo vestito proprio per quell’ evenienza. All’altro capo del filo sentivo rumori di auto su strade  bagnate. Nessuno parlava,ma sapevo che era Aoko. Aveva la cornetta in mano o questa penzolava catturando i suoni della strada?Se non altro pioveva anche là: eravamo sotto la stessa pioggia. La mia testa si posò contro il vetro mentre guardavo fuori i fari che passavano. Le parlai dell’appartamento e le descrissi la bellezza dell’azzurro.
”Quando tornerai decideremo dove appendere i tuoi poster dei Blue Note”. Continuai per un po’ parlandole della stanza, di come avessi lavato da cima a fondo gli infissi con l’acquaragia prima di dare due mani di smalto, di come avessi dovuto lasciare le finestre aperte per farne asciugare lo smalto affinché non si incollassero al telaio. Continuai a parlare, dell’uccello che si posava sul davanzale e del gatto che arrivava dall’appartamento del vicino. Continuai a parlare, di tutto e di niente, fino a quando il rumore delle auto che passavano nella pioggia all’altro capo del filo diventò quello di onde sulla spiaggia. Alla fine smisi di parlare, chiedendomi se lei stava ascoltando, quanto credito era  rimasto, ma non riuscivo a mollare il telefono, o a smettere di guardare la pioggia fuori e di pensare allo sterminato mare.


Lettura2
Il pastore che non fumava prese un sacco e rovesciò sul tavolo un mucchio di ghiande. Si mise a esaminarle l’una dopo l’altra con grande attenzione, separando le buone dalle guaste. Io fumavo la pipa. Gli proposi di aiutarlo.
Mi rispose che era affar suo. In effetti: vista la cura che metteva in quel lavoro, non insistetti. Fu tutta la nostra conversazione. Quando ebbe messo dalla parte delle buone un mucchio abbastanza grosso di ghiande, le divise in mucchietti da dieci. Così facendo, eliminò ancora i frutti piccoli o quelli leggermente screpolati, poiché li esaminava molto da vicino. Quando  infine ebbe davanti a sé cento ghiande perfette, si fermò e andammo a dormire. La  società di quell’uomo dava pace. Gli domandai l’indomani il permesso di riposarmi per l’intera giornata da lui. Lo trovò del tutto naturale o, più esattamente, mi diede l’impressione che nulla potesse disturbarlo. Quel riposo non mi era affatto necessario, ma ero intrigato e ne volevo sapere di più. Il pastore fece uscire il suo gregge e lo portò al pascolo. Prima di uscire, bagnò in un secchio d’acqua il sacco in cui aveva messo le ghiande meticolosamente scelte e contate. Notai che in guisa di bastone portava un’asta di ferro della grossezza di un pollice e lunga un metro e mezzo. Feci mostra di voler fare una passeggiata di riposo e seguii una strada parallela alla sua. Il pascolo delle bestie  era in un avvallamento. Lasciò il piccolo gregge in guardia al cane e salì verso di me. Temetti che venisse per rimproverarmi della mia indiscrezione ma niente affatto, quella era la strada che doveva fare e m’invitò ad accompagnarlo se non avevo di meglio. Andava a duecento metri da lì, più a monte. Arrivato dove desiderava cominciò a piantare la sua asta di ferro in terra. Faceva così un buco nel quale depositava una ghianda, dopo di che turava di nuovo il buco. Piantava querce. Gli domandai se quella terra gli apparteneva. Mi rispose  di no. Sapeva di chi era? Non lo sapeva. Supponeva che fosse una terra comunale, o forse  proprietà di gente che non se ne curava? Non gli interessava conoscerne i proprietari. Piantò così le cento ghiande con estrema cura.


Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila, ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila, contava di perderne ancora la metà, a causa dei roditori o di tutto quello che c’è di imprevedibile nei disegni della provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c’era nulla. Fu a quel momento che mi interessai dell’età di quell’uomo. Aveva evidentemente più di cinquant’anni: Cinquantacinque, mi disse lui. Si chiamava Elzeard Bouffier. Aveva posseduto una fattoria in pianura. Aveva vissuto la sua vita. Aveva pensato che quel paese sarebbe morto per mancanza di alberi. Aggiunse che, non avendo altre  occupazioni più importanti, s’era risolto a rimediare quello stato di cose.
L’anno seguente, ci fu la guerra del ’14, che  mi impegno per cinque anni. Un soldato di fanteria non poteva pensare agli alberi. A dir la verità, la cosa non mi era nemmeno rimasta impressa; l’avevo considerata come un passatempo, una collezione di francobolli, e dimenticata.
Avevo visto morire troppa gente in cinque anni per non immaginarmi facilmente anche la morte di  Elzeard Bouffier, tanto più che,quando si ha vent’anni, si considerano le persone di cinquanta come dei vecchi a cui resta soltanto da morire . Non era morto. Era anzi in ottima forma. Aveva cambiato mestiere. Gli erano rimaste solo quattro pecore ma, in cambio, possedeva un centinaio di alveari. Si era sbarazzato delle bestie che mettevano in pericolo i suoi alberi. Perché, mi disse (e lo constatai), non s’era per nulla curato della guerra e aveva continuato imperturbabilmente a piantare. Le querce del 1910 avevano adesso dieci anni ed erano più alte di me e di lui. Lo spettacolo era impressionante. Ero letteralmente ammutolito e, poiché lui non parlava, passammo l’intera giornata a passeggiare in silenzio per la sua foresta. Misurava, in tre tronconi undici kilometri nella sua lunghezza massima. Se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall’anima di quell’uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di dio in altri campi oltre alla distruzione. Aveva seguito la sua idea, e i faggi  che mi arrivavano alle spalle, spersi a perdita d’occhio, ne erano la prova. Le querce erano fitte e avevano passato l’età in cui potevano essere alla mercè dei roditori. Bouffier mi mostrò dei mirabili boschetti di betulle che datavano a cinque anni prima, cioè al 1915, l’epoca in cui combattevo a Verdun.
 Il processo aveva l’aria di funzionare a catena.  Lui non se ne curava; perseguiva ostinatamente il proprio compito, molto semplice.
A partire dal 1929, non ho mai lasciato passare più di un anno senza andare a trovare Elzeard Bouffier. Non l’ho mai visto cedere né dubitare. Eppure, dio solo sa di averlo messo alla prova! Non  ho fatto il conto delle sue delusioni. E’ facile immaginarsi tuttavia che, per una simile riuscita sia stato necessario vincere le avversità; che,  per assicurare la vittoria di tanta passione, sia stato necessario lottare contro lo sconforto. Bouffier aveva piantato, un anno, più di diecimila aceri. Morirono tutti. L’anno dopo, abbandonò gli aceri per riprendere i faggi che riuscirono ancora meglio delle querce.
Per farsi un’idea più precisa di quell’eccezionale carattere, non bisogna dimenticare che operava in una solitudine totale; al punto che, verso la fine della vita, aveva perso del tutto l’ abitudine a parlare. O forse non ne vedeva la necessità.




Finale

Qualche giorno dopo il trasloco  il signor Harada chiamò il signor Uetatsu perchè ricostruisse il giardino.
Ma…Ci vorrà un intero anno per ottenere il giardino  come quello che desidera, i periodi in cui piantarli variano a seconda del tipo di albero. Inoltre è rimasto un albero fastidioso…
L’olmo guardava i due dall’alto con fermezza come se fosse un gigante che aspetta il suo ultimo momento.
Quell’ albero …era lì prima che costruissero questa casa.
Non so quanti anni abbia…Comunque trent’anni fa era già così.
Fin da quando qui c’era un bosco e nessuna casa…
………
La talea è una porzione di organo vegetativo di una pianta che, distaccata da quest’ultima, opportunamente preparata e sottoposta a determinati stimoli in specifiche condizioni ambientali, riesce a dare un nuovo organismo vegetale completo in tutte le sue parti.