Scrivere un diario senza inizio va esattamente nella direzione opposta a quello che faccio di solito. Io, di solito, scrivo inizi. Inizi di tutto: articoli, saggi, racconti, progetti. Se avessi il coraggio di fare una ricerca nel mio computer, con i file degli inizi avrei di che riempire una cartella, ma me ne guardo bene. Non me la sento proprio di riunire tutti quegli esordi rimasti lì, inizi promettenti, gonfi di uno slancio che non è stato sufficiente ad andare avanti. Così, gioco con la sorte, o forse più semplicemente con le mie abitudini, e mi propongo di scrivere un diario senza inizio, mi invento una "forma talea" di scrittura per raccontare un progetto che ha radici leggere e forme in divenire.
Saltare l'inizio, più o meno è questo che voglio dire, saltare l'inizio è un buon modo per cominciare.
Saltare l'inizio, più o meno è questo che voglio dire, saltare l'inizio è un buon modo per cominciare.
Del resto, dice Deleuze, "scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare nuovi territori, cartografare, perfino delle contrade a venire". E io me lo sono immaginato così questo diario senza inizio: un esperimento di scrittura per punti, piccole note che seguiranno il progetto mentre prende forma, mentre si propaga in luoghi e incontri che oggi non possiamo prevedere.
sandra
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