venerdì 8 aprile 2011

pioniere, vagabonde. diario senza inizio. nota a margine.

Molto tempo fa un'amica parlandomi di sé mi disse di essere come "le piante pioniere".
La conversazione aveva preso una piega molto intensa e il momento era talmente intimo che non ebbi cuore di interromperla e dirle che la metafora non mi era chiara. Comunque  conoscevo bene lei , e pensai che volesse dirmi che va ad innestarsi dove altri non osano, e  non lo fa solo per sé, ma  per preparare il terreno a quelli che meno coraggiosamente arriveranno. L'immagine mi era piaciuta. In seguito ho scoperto che le piante pioniere sono una passione di molti. Sono piante che crescono in situazioni estreme, come le dune di sabbia o nelle terre lasciate lungo incolte. Con il loro selvatico germogliare e riprodursi nutrono il terreno, lo preparano, in effetti, ad altro. Selvatiche, erratiche, hanno molto successo, nutrono oltre alla terra anche l'immaginazione di chi sa di sfuggire alle regole del giardino in cui dovrebbe trovare il proprio posto. Perfetta metafora di una vitalità in conflitto con le evidenze e che si espande, nonostante tutto. I rovi sono piante pioniere, ad esempio, e hanno un  carattere decisamente difensivo, come se sapessero di dover proteggere in qualche modo la loro natura, l'esser senza altra legge che la propria. Chissà se la mia amica sapeva di paragonarsi anche a un rovo, se conosceva l'aspetto in ombra di quella metafora del coraggio con cui rappresentava se stessa. Forse sì, l'ho vista tante volte tirar fuori le spine o cedere di fronte all'arrivo di quelli che sono venuti  dopo di lei, senza dirle grazie. Ripensandoci c'era troppa volontà in quel suo dirsi pioniera, troppo "io" direbbe Deleuze, che senz'altro avrebbe preferito il fascino delle "erbe vagabonde", le erbe spontanee che crescono per la casualità che fa spostare i semi o i bulbi da un posto a un altro. Figure di un'altra resistenza, le erbe vagabonde sono le rappresentanti di un dissenso  più radicale, non stanno alle regole, così, semplicemente. Spensierate fino al punto di non pensare a difendersi, a cogliere in tempo una possibile intenzione ostile, a prevenire delusioni e aggressioni. Crescono e vivono fuori posto, nomadi, colonizzano i luoghi incolti, senza nessun desiderio di trovare casa. Disegnano il giardino in movimento agli angoli delle strade, fioriscono in uno spazio in divenire. Scelgono i margini  senza mai stare ferme, esercitando una libertà radicale.
Mai sentito nessuno che mi abbia detto "sono un'erbaccia". Un vero peccato.

Un libro da leggere, per pensare aiutati dalle piante:
Pia Pera, Antonio Perazzi, Contro il giardino. Dalla parte delle piante, Ponte alle grazie, 2007

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